Scrittore e filosofo francese. Appartenente a una nobile famiglia di magistrati,
frequentò il collegio degli oratoriani di Juilly e, a partire dal 1705,
studiò Diritto a Bordeaux. Già consigliere del Parlamento di
Bordeaux, ne divenne presidente nel 1716, quando ereditò tale carica,
insieme alla baronia, alla morte di uno zio. Nello stesso anno fu eletto membro
dell'Accademia scientifico-letteraria di Bordeaux. Soggiornò a Parigi fra
il 1721 e il 1725; nel 1726, dopo aver ottenuto i primi successi letterari,
abbandonò la magistratura. Nel 1728 entrò a far parte
dell'Accademia francese. Viaggiò in Austria, Italia, Germania, Olanda,
Inghilterra; tornato in Francia nel 1731, a partire dal 1734 si impegnò
nella stesura della sua opera principale, lo
Spirito delle leggi,
pubblicata a Ginevra nel 1748. Qualche anno più tardi
M.
morì a Parigi dopo una breve malattia. La prime opere composte da
M. sono una
Dissertazione sulla politica dei Romani, in cui, forse
influenzato da Machiavelli, l'autore sostiene la funzione politica della
religione e un trattato sui
Debiti dello Stato. Al 1721 risalgono le
Lettere persiane, pubblicate anonime ad Amsterdam, di cui fu vietata la
ristampa nel 1722. L'opera si inquadra nella tradizione dell'esotismo, di gran
moda in Francia fra Seicento e Settecento: tre persiani, in viaggio attraverso
l'Europa, esprimono le reazioni suscitate in loro dalle usanze europee
scambiandosi delle lettere, intercalate da quelle delle donne e degli eunuchi
rimasti nell'harem. L'espediente del romanzo epistolare permette a
M. di
fare una satira dei costumi contemporanei. Nel corso della narrazione emergono
alcuni temi tipici di questo autore: critica delle dispute religiose e
dell'intolleranza, utilità morale e sociale della religione e suo
fondamento razionale, rifiuto del dispotismo e difesa del parlamentarismo come
garanzia di libertà, polemica contro Hobbes (cui oppone la tesi che il
vivere civile si basi sulla socievolezza naturale degli uomini), analisi
comparativa delle forme di governo e del diritto. L'opera successiva di
M., intitolata
Tempio di Cnido (1724), di argomento galante ed
erotico, ottenne un grande successo in tutta Europa. Con la stesura del
Saggio sul gusto, apparso postumo nel 1757,
M. partecipò al
progetto dell'
Enciclopedia di Diderot. Al 1725 risale il
Trattato
generale dei doveri, in parte perduto, di ispirazione stoica; fra il 1726 e
il 1727 sono da collocare le
Considerazioni sulle ricchezze della Spagna
(postume), cui fecero seguito nel 1734 le
Riflessioni sulla monarchia
universale in Europa, critica dello spirito di conquista, e le
Considerazioni sulle cause della grandezza dei Romani e della loro
decadenza. In quest'opera,
M. tenta di compiere una ricostruzione
globale della storia di Roma e di comprendere le ragioni che portarono
all'affermazione di questa civiltà e le motivazioni che furono causa
della sua decadenza. La grandezza dei Romani, spiega l'autore, fu il risultato
delle loro virtù, che produssero una forte coesione sociale; la decadenza
fu causata dal venire meno di questa coesione. L'analisi della storia di Roma
è un pretesto per trovare le leggi generali che regolano la storia umana:
essa si configura come un rapporto di causa ed effetto, in cui tutto si
può spiegare razionalmente. In tal modo viene bandito ogni ricorso al
finalismo, alla trascendenza, alla nemesi o al caso cieco. Nello
Spirito
delle leggi (1748)
M. sviluppa le idee già elaborate nelle
opere precedenti, proponendo un metodo di interpretazione delle leggi che supera
in modo definitivo l'alternativa fra legge naturale e universale, di cui avevano
parlato i giusnaturalisti, e l'idea della convenzionalità delle leggi
positive su cui, a partire dai sofisti fino a Montaigne e Pascal, si era basato
il dubbio scettico sulla stabilità delle leggi umane. Partendo, infatti,
dalla constatazione che le norme che regolano il vivere civile cambiano in
relazione alle diverse civiltà, e con il trascorrere del tempo, non
è possibile spiegarle secondo parametri dotati di validità
assoluta. D'altra parte le leggi non si formano a caso, ma è possibile
stabilire i principi e le cause che ne determinano il carattere e la natura, in
quanto esse traggono il loro indirizzo dal gioco dinamico di un insieme di
condizioni che è compito del filosofo indagare. Per "spirito delle leggi"
bisogna intendere i rapporti che caratterizzano un insieme di leggi positive
regolanti le relazioni umane nelle varie società. La legge, parlando in
senso generale, si identifica con la ragione umana che, trovandosi ad operare in
ambienti diversi, produce, in luoghi diversi, differenti situazioni. Clima,
terra, lavoro, forma di governo, religione, consuetudini, sono tutte condizioni
importanti nel determinare che cosa la ragione stabilirà in un caso
particolare. Le diverse leggi positive non sono altro, quindi, che particolari
applicazioni della ragione determinata da tutto questo insieme di fattori
culturali e naturali; di qui la definizione della legge come rapporto necessario
derivante dalla natura delle cose. Lo "spirito delle leggi", che struttura forme
istituzionali e corrispettive legislazioni, facendone un insieme del tutto
organico, non è solo, per
M. criterio di analisi
scientifico-sociologica, ma anche pratico, in quanto bisogna legiferare in
accordo a questo spirito generale. Le varie forme di governo, vengono ricondotte
da
M., a tre principali modalità: monarchia, repubblica (distinta
in aristocrazia e democrazia) e dispotismo. Ciascuna di esse è
tipicizzata da un proprio principio psicologico morale, da cui dipende la sua
durata e il suo funzionamento. La democrazia si fonda sulla
virtù,
da intendersi come amore per la patria e uguaglianza; in essa il popolo è
allo stesso tempo suddito e sovrano.
M. propende per la democrazia
rappresentativa piuttosto che per quella diretta, considerando quest'ultima la
degenerazione della prima in un'esigenza di uguaglianza estrema. L'uguaglianza
auspicata da
M. è quindi moderata, non assoluta, implicando
differenze che sono garanzia di virtù. L'aristocrazia implica la
distinzione fra popolo e nobili. Sorgendo il problema del rispetto delle leggi
da parte dei nobili,
M. individua due soluzioni: quella di una grande
virtù, o quella di una virtù minore, la
moderazione. Nel
primo caso i nobili diventano uguali al popolo, e si parlerà di
democrazia; nel secondo, i nobili si rendono uguali fra loro determinando
così la loro conservazione. Con la progressiva disgregazione
dell'unità fra governanti e governati, che contraddistingue la
democrazia, si ha la monarchia fino ad arrivare alla sua degenerazione,
cioè il dispotismo. La monarchia è un governo costituzionale
conforme alla legge e presuppone l'esistenza di poteri intermedi che si
collochino tra il monarca e il popolo. Essa trova il suo fondamento etico
nell'onore, il sentimento in virtù del quale ciascuno è legato al
proprio rango e alla propria condizione. Il dispotismo, che pure
M.
considera una forma naturale di governo, si rivela un pericolo supremo da
evitare. Infatti mentre repubblica e monarchia possono corrompersi solo
accidentalmente, il dispotismo ha in sé il germe della propria corruzione
nel principio stesso che lo regge: la paura dei sudditi verso il despota. La
ricerca descrittivo-sociologica di
M. si trasforma in programma politico
morale laddove il problema della libertà diventa centrale, nell'indagine,
cioè, di quale sistema di leggi, in una certa situazione storica, sia in
grado di garantire il massimo di libertà. In questo quadro si inserisce
la descrizione del governo inglese, la cui separazione dei poteri (esecutivo,
legislativo, giudiziario), controllantisi a vicenda, pare particolarmente adatta
ad assicurare la libertà del cittadino. In tal modo,
M.,
giudicando impraticabile per l'Europa la via della repubblica, propende per
quella di una monarchia moderata. L'appello politico morale di
M. contro
il pericolo del dispotismo è rinforzato dalla sua vocazione
scientifico-sociologica: è infatti la struttura geografica dell'Europa
che, facilitando la formazione di Stati di modesta estensione, si rivela
inadatta ai regimi dispotici, i quali trovano, invece, nei vasti territori
asiatici il loro luogo di affermazione più naturale (Castello di La
Brède, Bordeaux 1689 - Parigi 1755).